Prof, davvero mi ha dato 9?
Napoli: scegliere di insegnare per generare un impatto sociale
Napoli è la città in cui Matteo Comito, Fellow 2023 di Teach For Italy, ogni giorno si impegna a ridurre le distanze tra la scuola e gli/le student*. Da manager in una grande azienda a docente in quartieri complessi, Matteo è tra coloro che hanno scelto l’insegnamento come strumento per generare un impatto sociale concreto.
Come lui, molte e molti altri Fellow hanno deciso di dedicarsi a questo cambiamento, consapevoli che contrastare le disuguaglianze educative sia una delle sfide più urgenti del nostro tempo. Crediamo che insegnare significhi creare possibilità e costruire una società più equa, in cui tutt* possano davvero accedere alle stesse opportunità per costruire il proprio futuro.
La storia di Matteo merita di essere raccontata. E lo faremo attraverso le sue parole e quelle delle sue studentesse e dei suoi studenti.

Prime due ore di un uggioso lunedì mattina. I ragazzi entrano trafelati, si spingono e ridono, hanno gli occhi assonnati di chi la sera prima ha fatto tardi davanti a Fifa. Richiamare la loro attenzione è difficile.
Qualcuno appoggia la testa sul banco, molti sbadigliano. Chiedo di raccontarmi qualcosa di bello che hanno fatto nel weekend. Una dozzina mi dicono di aver visto la partita del Napoli, un altro di aver dormito tanto, l’unica ragazza presente afferma compiaciuta di aver trascorso il sabato pomeriggio con le amiche su e giù per Via Toledo.
Inizio a parlare di lavoro autonomo e lavoro dipendente, e li interpello su ciò che queste parole possano per loro significare. Mi aiuto con dei post-it colorati. Analizziamo i vantaggi e gli svantaggi di ciascuna posizione, raggruppandoli attraverso una mappa concettuale. Mi fanno domande a raffica sui diritti che si possono ottenere grazie a un contratto, e io rispondo focalizzandomi anche sui doveri.
Un ragazzo racconta che il fratello lavora in Svizzera e in due anni ha già messo via un bel po’ di quattrini. Un altro mi chiede se sia meglio lavorare in Italia o all’estero. I quesiti fioccano, così come i dubbi.
Dialoghiamo, scambiandoci opinioni e pezzi di vita vissuta
Il tempo passa piuttosto rapidamente ed è già ora di cambiare aula e materia… Gli studenti dunque si alzano, ma prima domando come si sentano rispetto all’inizio della mattinata. In coro replicano tutti con un pollice all’insù. Uno mi viene vicino e mi sussurra: “grazie Prof, le sue lezioni mi piacciono un casino e sa perché?”. Io spalanco gli occhi, facendogli intuire che non ho una risposta. E allora lui aggiunge: “perché si vede che a lei interessa il nostro pensiero. Non vuole solo insegnarci, ma molto di più. Vuole farci ragionare”. Bevo un sorso d’acqua, lasciandoli andare. Un brivido mi scorre lungo tutta la schiena.
Con i ragazzi di prima superiore decido di proporre “The Marshmallow Problem”, attività di team building in cui gli alunni, divisi in squadre e avendo a disposizione 20 spaghetti, 1 metro di nastro, 1 metro di filo e 1 marshmallow, devono sfidarsi per costruire la torre più alta. Il marshmallow deve essere posto in cima alla torre. Tempo a disposizione 18 minuti.
Un gruppo, in particolare, mi lascia senza parole: i 4 ragazzi lavorano coordinandosi sul da farsi, si confrontano, dialogano, provano, montano e disfano. “Prof abbiamo finito”, urlano eccitati. La torre è piuttosto alta e stabile. Guardo l’orologio e sono passati solo 5 minuti. Aspettano che gli altri gruppi finiscano e, annoiandosi, cominciano a disturbare. Attribuisco loro un punto di penalizzazione.
La lezione successiva comunico i voti; il gruppo vincitore ha preso 9
Uno dei ragazzi viene verso la cattedra, ciondolando. Quando si ferma di fianco a me mi squadra, e poi stringe la mandibola. “Mi mostra il registro, professò?”, mi chiede. “Certo! Ecco qui il tuo risultato”. I suoi occhi neri si spalancano di luce. Una mosca sorvola tra di noi e lui, con la mano, cerca di cacciarla via. Ha i capelli ispidi e quattro peli sopra il labbro superiore della bocca, preambolo di un futuro paio di baffi. Veste una tuta blu, con il simbolo sgualcito del Real Madrid. Fissa il suo voto e si avvicina, come per vederlo meglio. Ci passa sopra l’indice della mano sinistra, con la stessa delicatezza che si usa quando ci si spalma una pomata.
“Davvero c’è scritto 9?”, sembra pronunciare con il mento prominente che mi si avvicina. Ripasso allora il numero con la penna, sorridendo. Prende il cellulare e, prima di scattare una foto, mi sussurra: “posso mandarla a mamma?”. Sulle sue guance si pronunciano due fossette che raccolgono tutta l’emozione del nostro primo grande voto.
T. è una ragazza agitata e scomposta
Arde in lei uno spasmodico desiderio di farsi sentire. Parla ad alta voce, prettamente in dialetto, e ha una tale fretta di urlare qualcosa di suo al mondo che accavalla le frasi una sull’altra, inghiottendo sillabe e speranze. Viene a scuola in media due giorni su cinque e, quando non si siede sul banco, cammina per la classe toccandosi in continuazione le lunghe ciocche nere, ben piastrate. Mastica la gomma fino a consumarla, muovendo sù e giù un paio di guance che, colorate dal fard, sembrano albicocche.
Oggi parlo di organigramma aziendale, aree funzionali e suddivisione dei ruoli. Nonostante i piedi che martellano contro il pavimento scuro in pvc, T. ascolta e annuisce, commentando che a lei piacciono le rappresentazioni grafiche. “Se comincio da stagista posso poi diventare addetta o capo?”, mi chiede con le mani improvvisamente infilate dentro il tascone della felpa blu.
“Se ti impegni e sei determinata con il tempo ci puoi arrivare”, le rispondo con il tono squillante che custodisce dentro una scia di convinzione. Un compagno guarda fuori dalla finestra, mentre il bravo della classe si appunta la dicitura – consiglio di amministrazione – che è appena uscita dalla mia bocca. T. intanto fissa la scheda relativa a un caso aziendale che ho preparato.
Quando la consegno a ciascuno studente, lei immediatamente ne sottolinea il titolo con l’evidenziatore rosa. L’imprenditore di cui leggiamo era noto per la sua leadership collettiva, oltre che per aver inventato il Pocket Coffee. T. mi domanda di andare un attimo in bagno, io annuisco dato che è quasi finita l’ora. Passo tra i banchi per andare a gettare un fazzoletto nel cestino. La coda del mio occhio viene distratta da una sottolineatura compiuta con la penna rossa. Il tappo, orfano, se ne sta accasciato per terra. L’inchiostro è ancora fresco dell’ultima scritta di T.: “Le ore, quelle belle”.
Non ci sono brav* o cattiv* ragazz*
Queste sono solo alcune storie dalle quali si può comprendere una cosa: non ci sono brav* o cattiv* ragazz*, ma ci sono persone che hanno avuto la fortuna di crescere in famiglie di un certo tipo e persone che sono cresciute magari stando da sole per diciotto ore su ventiquattro, oppure in mezzo alla strada.
Alcun* hanno respirato in casa aria di libri e sono stat* portat* a vedere una mostra nel centro storico della propria città, a cavalcare un pony in una fattoria didattica o a prendere l’aereo per una vacanza; mentre alcun* non sono mai uscit* dal loro rione, hanno i panni umidi perché a casa non c’è la lavatrice e non hanno mai ricevuto un consiglio, un incoraggiamento o una spiegazione circa il significato di una parola, come per esempio la ultimamente tanto citata “sostenibilità”.
Insegnare nelle scuole definite “sfidanti” penso sia un’avventura incredibile, dal momento che si scoprono bulli e bulle che in realtà sono pulcini bisognos* di attenzioni, di rinforzi positivi e di visioni luminose. Ho visto sguardi sgualciti che, con il passare dei mesi, si sono trasformati in occhi fiduciosi. È stata per me pura gioia.
Tutt* abbiamo il diritto di sognare, di metterci in testa che “possiamo farcela” e di raccontare la nostra vita per la bellezza delle esperienze fatte. Le paure e le fragilità vengono superate se c’è gente disposta a prendere per mano qualcun*, accompagnadol* nella scoperta meravigliosa del mondo e di sé.
Noi di Teach For Italy cerchiamo di impegnarci in questo, attraverso una comunità spinta dall’idea che la disuguaglianza educativa si possa contrastare e che ognuno abbia un potenziale da sbloccare.
Matteo Comito
Fellow 2023 Teach For Italy
