CPIA Anche gli adulti vanno a scuola Teach For Italy

Cosa significa insegnare in un CPIA – Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti?

Storie di vita all’interno dei CPIA – Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti.

L’educazione ha il potere di cambiare le vite e permettere quel salto in grado di creare riscatto e cambiamento , indipendentemente dall’età. Nei CPIA (Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti) questa convinzione è una realtà concreta: Michele Lionetti e Laura Bruno sono l’esempio dell’impatto che Teach For Italy sta portando nel nostro Paese. Entrambi docenti di ruolo, Michele insegna presso il CPIA “A. Olivetti” di Chivasso (TO) mentre Laura nel CPIA “V. Solesin” di Piove di Sacco (PD).

I CPIA sono luoghi dove gli adulti possono riprendere il loro percorso educativo e possono ritrovare fiducia nei propri mezzi. È qui che Michele e Laura, tutti e due Fellow 2024 di Teach For Italy, stanno facendo la differenza offrendo a ogni studente non solo conoscenze, ma anche gli strumenti per ritrovare speranza e dignità in una società che ha ancora molti ostacoli che non permettono un’uguaglianza educativa e di realizzazione indipendenti dal background di provenienza di ciascuno.

Entrambi insegnano in contesti in cui si intrecciano storie, culture e vissuti spesso segnati da difficoltà, ma anche da grande resilienza. I loro studenti, che vanno dai più giovani ai pensionati, trovano nei CPIA un’opportunità per superare ostacoli educativi e costruire nuove prospettive di vita. Attraverso il loro impegno, Michele e Laura incarnano i valori fondamentali di Teach For Italy: equità, giustizia e trasformazione sociale.

Le storie di Laura e Michele ci mostrano che contrastare la povertà educativa non si limita alle scuole tradizionali ma si estende a tutti gli ambiti in cui l’apprendimento diventa una leva per la crescita personale e collettiva. Il loro impegno ci rende consapevoli di quanto l’educazione degli adulti non rappresenti solo un diritto ma anche una potente risorsa sociale per promuovere inclusione, autonomia e cambiamento.

Laura Bruno Fellow 2024 CPIA Teach For Italy

 “Due anni fa mi sono trovata nella posizione a cui tanti insegnanti precari giungono ad un certo punto del loro percorso professionale: superato il concorso, dovevo scegliere la sede per l’agognato ruolo”, racconta Laura Bruno, Fellow 2024 di Teach For Italy e docente di ruolo in CPIA in provincia di Padova. “La mia scelta è ricaduta sul CPIA, Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti, una realtà che conoscevo solo in superficie, avendo insegnato negli anni precedenti in istituti tecnici e professionali. Così, sono entrata in una scuola, in un mondo, in cui lingue, culture, età e vissuti si mescolano continuamente. Una scuola statale che include nel sistema educativo fasce di popolazione che spesso ne restano escluse. Cogliere i motivi di tale esclusione è il primo passo verso il successo formativo degli studenti stessi”.

Quando le chiedono che cosa sia un CPIA a Laura piace dare questa veloce definizione, perché racchiude due aspetti fondamentali: “è una scuola media statale, quindi accessibile socialmente ed economicamente a tutti, ed è per gli adulti, cioè persone che abbiano almeno 16 anni.

Ovviamente, il quadro è ben più complesso.

L’offerta formativa del CPIA è triplice – prosegue – ci sono i percorsi di primo e secondo livello (che seguono quelli della scuola secondaria di primo e secondo grado), i corsi di alfabetizzazione e i corsi di ampliamento dell’offerta formativa. Io insegno italiano nei percorsi di primo livello, in cui il cosiddetto primo periodo didattico indica l’offerta formativa del CPIA è triplice – prosegue – ci sono i percorsi di primo e secondo livello (che seguono quelli della scuola secondaria di primo e secondo grado), i corsi di alfabetizzazione e i corsi di ampliamento dell’offerta formativa. Io insegno italiano nei percorsi di primo livello, in cui il cosiddetto primo periodo didattico indica quella che un tempo si definiva la terza media”.

Ci sono gli studenti minorenni, che hanno 16 o 17 anni ma in alcune regioni, tra cui il Veneto dove attualmente vivo, vengono attivati protocolli speciali per includere anche i quindicenni. Si tratta di una fascia d’utenza molto eterogenea, perché racchiude al proprio interno ragazzi di nazionalità italiana, che hanno abbandonato il percorso nella scuola secondaria di primo grado ed intraprendono il nuovo percorso con un bagaglio spesso pesante, e ragazzi di nazionalità straniera, che provengono da tutto il mondo e hanno i vissuti più diversi: sono in Italia per ricongiungimento familiare o sono in Italia da soli, vivono in famiglia o in comunità, in condizioni precarie o confortevoli, lasciano dietro di sé un Paese in guerra o un Paese in estrema povertà.

L’altra fascia d’utenza è quella degli adulti, altrettanto variegata”, ci racconta Laura. “Non essendoci limite d’età per l’iscrizione, spesso, nelle classi, giovanissimi, adulti con famiglia e lavoro e anziani in pensione convivono allegramente. Le nazionalità sono numerose e, per quanto la percentuale di studenti italiani in questo caso si riduca notevolmente, non è da considerarsi nulla.

Ad esempio, quest’anno in una delle mie classi, una signora italiana in pensione ha deciso di venire a scuola per ‘realizzare il suo sogno dopo una vita di lavoro’. In generale, la presenza degli adulti non italiani è dominante ed è per questo che talvolta il CPIA viene percepito come la ‘scuola degli stranieri’. Si tratta di una misconcezione, forse nata anche dal fatto che una parte consistente dell’offerta formativa sono i corsi di alfabetizzazione, rivolti chiaramente agli stranieri (maggiorenni) che desiderano apprendere la lingua italiana; tuttavia, questi corsi sono interamente slegati dai percorsi di ‘terza media’ ”.

Il principale obiettivo per gli studenti del CPIA iscritti ai percorsi di primo livello, nel primo periodo didattico, “è il conseguimento del titolo conclusivo del primo ciclo di istruzione. Il titolo esprimerà il raggiungimento dei traguardi e degli obiettivi già previsti nelle Indicazioni Nazionali del 2012, ma adattati ‘alla specificità dell’utenza adulta’, come recita il D.P.R. 263/2012(“Istruzione degli adulti – Linee guida per il passaggio al nuovo ordinamento”).

Rispetto ad una scuola secondaria di primo grado regolare (noi la definiamo semplicemente ‘diurna’), il percorso è più breve, poiché dura un anno scolastico, oppure due anni in caso di necessità specifiche, legate ad esempio all’apprendimento della lingua italiana, al rinforzo delle competenze disciplinari di base o ad altre esigenze dello studente. Durante questo anno scolastico, si affronta lo studio di quasi tutte le discipline previste anche nella scuola diurna: italiano, matematica e scienze, storia e geografia, inglese, tecnologia. Essendoci meno discipline, pure il quadro orario settimanale risulta meno impegnativo.

Durante il mio primo anno al CPIA, sono stata nominata coordinatrice di livello”, ci racconta Laura. “Mi è stato detto che dovevo occuparmi dei ‘patti formativi’ e, quando ho capito bene cosa fossero, mi sono immediatamente chiesta perché non esistessero già anche nella scuola diurna. Il patto formativo è un accordo siglato dallo studente e dai docenti, nel quale vengono esplicitate tutte le specificità del suo percorso scolastico: ad esempio, se lo studente ha difficoltà in matematica, nel patto si indicherà una determinata quantità di ore dedicate al recupero, svolto individualmente o in piccoli gruppi; d’altro canto, se uno studente dimostra di possedere un ottimo livello di inglese, potrà frequentare meno ore di quella disciplina”.

In sintesi, “ogni studente ha il proprio patto, realizzato sulla base delle esigenze, degli obiettivi di vita, delle difficoltà e dei punti di forza, proprio come un abito su misura. Ciò gli consente di muoversi più consapevolmente, cioè di apprendere più consapevolmente, traducendosi spesso in una meravigliosa sensazione di gratificazione e di crescita personale. Una simile personalizzazione del percorso scolastico individuale, nella scuola diurna, fatica tuttora a concretizzarsi pienamente.

“Ma allora è tutto rose e fiori? Certo che no. Il CPIA offre una possibilità in più a chi è svantaggiato, ma, in fin dei conti, non è una scuola diversa dalle altre: è piena di contraddizioni e noi insegnanti procediamo per prove ed errori accogliendo ogni giorno le sfide che la quotidianità scolastica pone”.

Gli adulti sono in gran parte lavoratori: “lavorano nei settori più disparati, con gli orari più impensabili, sono coinvolti in attività dure e usuranti dal punto di vista fisico, spesso arrivano in classe con gli abiti del lavoro, sporchi ed esausti e, sedendosi al banco, devono sentire l’immediatezza del proprio progetto di vita, perché è quella che dà loro lo sprone per continuare a perseguirlo”.

Il rischio dell’abbandono, infatti, è una delle sfide più grandi e riguarda da vicino anche gli studenti minorenni: “la loro fragilità educativa è la spia di un disagio emotivo, psicologico, Sociale – spiega Laura – che parte dall’abbandono della scuola diurna e talvolta sfocia amaramente in un’ulteriore dispersione.

Gli adulti, poi, sono apprendenti meno plastici delle menti giovani che popolano le scuole diurne. A volte sono perfino testardi. Una volta, una mia studentessa, che ripeteva sempre lo stesso errore, in verifica si era corretta da sola, ma mi aveva lasciato una nota a margine per farmi sapere che avrebbe continuato a sbagliare per affetto verso l’abitudine presa. Alcuni studenti, poi, ricordano un modello di insegnamento molto cattedratico, poco dinamico e rifiutano le metodologie meno tradizionali, che magari li coinvolgono direttamente e li spingono a mettersi in gioco fuori dalla acquisita zona di comfort, perciò la negoziazione verso un modello di scuola più innovativo può essere lunga e faticosa e deve, quale che sia l’esito, essere fortemente motivata”.

“Insomma, il mondo dell’istruzione agli adulti è complesso, ma stupendo. Pur lanciando sfide continue agli insegnanti che hanno di fronte, gli adulti sanno anche mostrare grande bontà, fermezza d’animo e gratitudine. L’anno scorso, durante il processo di selezione per la Fellowship di Teach For Italy, quando mi è stato chiesto perché mi stessi candidando, ho risposto che lo facevo per Matteo, uno studente che aveva abbandonato il percorso di studi da un giorno all’altro, senza che io avessi colto nemmeno mezzo segnale. Essere insegnante significa anche questo, forse. Sbagliare, imparare, riprovarci. Esattamente come uno studente”.

“Ho pensato molto a queste domande. Ho cercato a lungo una risposta. Non l’ho trovata: bella, confezionata, pronta per essere scritta, stampata a caratteri grandi. Quindi ho cambiato rotta”.

 A parlare è Michele Lionetti, Fellow 2024 di Teach For Italy e anche lui docente di ruolo presso un CPIA in provincia di Torino. Ci racconta così la sua esperienza, di chi in quello che fa, ci crede davvero e sa leggere oltre passaporti o competenze linguistiche.

Michele Lionetti Fellow 2024 Teach For Italy

“Ho cercato la risposta nella pratica in classe, nel fare. Ho aggirato la domanda grande del ‘Che fare?’ e ho fatto. Ho ragionato camminando. Ho ragionato facendo. Voglio raccontarvi questo fare, una di queste passeggiate in classe.

Una passeggiata reale che passa attraverso l’Africa, molta Africa, qualche macchia di America Latina e un po’ di Asia. Quasi tutti ospiti della stessa cooperativa, da più o meno un anno in Italia.

Sono freschi di un corso di italiano, ma la lingua ovviamente, sdrucciola ancora. È  creola: la sintassi, la grammatica, la pronuncia sono creole. Si fanno intendere e intendono. Questo basta. Sono ambiziosi. – e prosegue Michele – si candidano alla licenza di scuola secondaria di primo grado italiana. Non importa se abbiano già studiato o meno nei paesi di origine. Non importa quanto abbiano studiato. Ripartono. Uguali, l’uno all’altro. Ingegnere ed ex-analfabeta sono uguali. Fianco a fianco, compagni di banco. Sono con loro per la lezione di matematica. Quella che già sanno, che hanno utilizzato nei loro viaggi. Viaggi che segnano il confine tra il prima degli affetti e il dopo della ricostruzione”. 

“Approfittando della presenza di molti burkinabè, attacco con un video. Un estratto del ‘discorso sul debito‘ di Thomas Sankara, pronunciato il 29 luglio 1987 ad Addis Abeba in occasione del vertice dell’Organizzazione dell’Unità Africana. Molti sorridono. Riconoscono il loro eroe. Gli altri chiedono ai compagni: chi è lui? Orgogliosi i burkinabè parlano di un uomo giusto. Burkina Faso d’altra parte vuol dire questo: terra degli uomini integri.

E poi, idealmente, il debito lo facciamo noi. Andiamo in Banca. Qualsiasi Banca. Dobbiamo comprare un’auto per andare al lavoro. Abbiamo bisogno di un prestito. Che percentuale ci propongono di interesse? Quanto pagheremo alla fine? Quante rate dovremo pagare? Domande che li portano al futuro possibile della costruzione di una loro indipendenza.

Per un attimo, anche se solo iniziale, li ho riportati alle origini. Ai luoghi e ai volti dell’infanzia. Ho fatto vedere un dopo possibile. Quello in cui sperano e che avranno. Sono contenti, io con loro.  Escono dalla classe. Qualche pacca sulla spalla. Sorrisi. Continuano a parlare dell’automobile che sicuramente compreranno. Qualcuno si attarda a raccontare del loro eroe. Altri ascoltano rapiti. È andata. Sono entrato dentro il loro mondo. Almeno per qualche attimo. Sono andato contro la deriva dei continenti. Invece di allontanarsi l’Asia si è avvicinata all’Africa. Curiosa. Anche se solo un poco. La prossima volta, mi viene improvvisamente in mente, dovrò trovare un eroe in Asia e garantire un analogo avvicinamento. 

La povertà educativa si è allontanata un po’ di più. Autostima, motivazione, senso di comunità sono aumentati. Non c’era un leader in classe. Ognuno era leader a modo suo. Leader collaborante. Leader disponibile a scambiare, a spiegare e a costruire un senso comune, un futuro con più mani di quelle che possiede. Come il creolo con cui comunicano, hanno messo assieme quello che avevano. Hanno visto cosa mancava. Hanno chiesto assieme un prestito, hanno  comprato una macchina collettiva, ci sono saliti festosi. Sono andati a lavorare. Sono andati nel loro futuro possibile.

Forse è questa la risposta alle mie domande. Una risposta pratica. Mi si è palesata davanti, nei loro volti. Nessuna astratta frase di risposta sarebbe potuta essere  più piena”.

Le storie di Laura e Michele all’interno dei CPIA dimostrano che l’istruzione per adulti è molto più di un semplice luogo di apprendimento; è un crocevia di speranze, resilienza e aspirazioni verso un futuro migliore. È qui che si superano ostacoli, si ridefiniscono obiettivi e si costruiscono nuove possibilità di vita. Il diritto all’apprendimento non ha età ed è nostro dovere garantire la presenza di persone qualificate e motivate che possano supportare questo percorso.

Queste esperienze, come anche altre che raccontiamo nel nostro blog, ci ricordano che tornare a scuola non è solo un atto personale di coraggio, ma una fondamentale risorsa collettiva per il progresso sociale.

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