Le Fellow di Teach For Italy nella Scienza: un viaggio tra passione, insegnamento e innovazione

Ogni 11 Febbraio si celebra la Giornata Mondiale dedicata alle donne nella scienza, una ricorrenza che secondo le Nazioni Unite “ha lo scopo di tenere alta l’attenzione rispetto alla scarsa rappresentanza delle donne e delle ragazze nei percorsi scientifici, promuovendo percorsi di inclusione per ridurre questa disparità”.

Abbiamo deciso di approfondire il significato di questa giornata con Anna Marongiu e Giovannamaria Maloccu, due Fellow di Teach For Italy che insegnano matematica in due scuole della Sardegna. Entrambe sono insegnanti di ruolo, Anna è laureata in ingegneria civile e insegna all’IIS Leonardo da Vinci di Lanusei (NU), mentre Giovannamaria è laureata in matematica e insegna presso l’IC 1 Antonio Gramsci di Siniscola (NU).

Cosa vi ha avvicinate alle materie STEM?

Anna: Ho iniziato i miei studi in Svizzera, e poi quando sono tornata in Italia per riallinearmi al programma di matematica ho seguito delle ripetizioni con un insegnante che ha infuso in me l’amore per la matematica e ha fatto aumentare la mia autostima con il suo modo di spiegare, e così è nata la curiosità per questa materia e la voglia di imparare.

Giovannamaria: La mia maestra delle scuole elementari è riuscita ad appassionarmi tantissimo alla matematica. La cosa divertente è che quando sono cresciuta e stavo per laurearmi, ho incontrato questa maestra (con cui mi ero tenuta in contatto), e mi ha detto “Non ho mai capito come hai fatto a diventare così brava in matematica con una maestra come me, io la matematica la odiavo!”. È stata bravissima, perché io non me ne ero mai accorta e anzi, ho amato la materia grazie a lei.

Siete state ispirate da donne nei campi scientifici?

Anna: Per quanto mi riguarda, quello che mi ha attirato nelle materie scientifiche sono proprio le materie scientifiche. Mi sono appassionata perché volevo scoprire come funziona il mondo. Da “grande” però mi è capitato di leggere di donne che si sono impegnate in campo scientifico e spesso venivano anche depredate delle scoperte che facevano a vantaggio degli uomini. E quindi magari anche questo aspetto può avermi dato un’ulteriore voglia di mettermi alla prova, specialmente durante i miei studi in ingegneria. 

Giovannamaria: Le donne nella scienza le ho conosciute dopo essermi appassionata alla matematica, a mano a mano che sono cresciuta. Mi viene in mente la storia di Ipazia, che mi ha sempre affascinata moltissimo perché già nell’antichità c’erano donne che si interessavano alla scienza. Negli anni, mi sono interessata alle donne nella scienza, e come dice Anna, anche in funzione delle difficoltà che incontrano in questo mondo e di cui sono diventata sempre più consapevole.

Ipàzia di Alessandria, matematica, astronoma e filosofa della Grecia antica.

Durante il vostro percorso accademico in un contesto STEM dominato dagli uomini, avete affrontato sfide legate al genere?

Anna: Per quanto mi riguarda, il fatto che ci fosse una prevalenza maschile all’università non è stato un problema. Non mi sono mai sentita discriminata nel mio percorso di studi in ingegneria, ho collaborato sempre con i colleghi uomini e non ho mai visto una differenza nel trattamento da parte dei miei professori – anche loro per lo più uomini. Al contrario, durante i primi anni di carriera ho affrontato dei pregiudizi in quanto ingegnere donna. Diciamo che molto spesso chi si rivolgeva a me quasi quasi mi doveva dare un altro titolo, architetto per esempio. A volte per sentirmi ascoltata in contesti di lavoro, come nei cantieri, era necessario adottare dei modi maschili, usando parole e atteggiamenti che non mi appartenevano per avere il riconoscimento del proprio ruolo.

Ora siete insegnanti. Giovanna, tu insegni alla scuola media, a Siniscola, mentre tu Anna insegni in una scuola superiore di Lanusei. Cosa vi ha spinte ad insegnare?

Anna: Dirò una cosa un po’ strana: non è stato per niente amore a prima vista, ma proprio per niente.

All’inizio era molto difficile però, piano piano, è cambiato il mio modo di approcciarmi. Ho capito che le relazioni erano fondamentali e ho visto quanto i ragazzi riuscivano a darmi. E ho realizzato anche che questo mestiere, alla fine, è uno dei più belli che ci sia al mondo, perché posso dare il mio contributo per riuscire a cambiare il mondo se riesco a guidare i miei alunni, se riesco a trasmettere loro la passione per la mia materia, ma non solo.

È vero che ciascuno di noi insegna una materia specifica, ma noi non facciamo solo quello in classe. Noi cerchiamo di dare di più, di dare noi stessi e di far capire agli alunni che loro devono essere protagonisti della propria vita, che per riuscire a cambiare qualcosa possono partire da sé stessi per poi cambiare il resto, che poi è quello che ho fatto io.

Giovannamaria: Devo dire che ero un po’ indirizzata all’insegnamento già da bambina perché ero innamoratissima della mia maestra, quindi insegnare mi sembrava la cosa più bella del mondo. Dopo le scuole medie ho frequentato le magistrali, e quindi anche quello, comunque, era un passo, che un po’ mi portava all’insegnamento. Infine, ho scelto la facoltà di matematica. Dopo la laurea ho inviato qualche curriculum anche ad aziende, ma poi ho ricevuto una chiamata da un istituto superiore vicino a casa, quindi ho iniziato a lavorare lì. Ho cominciato a insegnare, ad appassionarmi, con fatica all’inizio, perché in realtà all’università non mi ha preparata ad insegnare, ho dovuto imparare tutto da sola. Ho dovuto chiedere continuamente aiuto anche sulle cose più semplici e più ovvie, dalla compilazione del registro fino al riuscire a rapportarsi con i ragazzi. Ho avuto anche la fortuna di lavorare nei licei, alla scuola primaria e adesso alla scuola secondaria di primo grado. Un percorso che mi ha permesso di vivere i ragazzi, nelle diverse fasce d’età, con la loro ricchezza incredibile, anche se mi emozionano sempre i ricordi degli abbracci alla scuola primaria!

Immagino che questa gratificazione vi dia moltissime energie e sia un po’ un motore, anche magari in quelle giornate un po’ più lente. C’è qualche storia di successo, di realizzazione anche personale o comunque di crescita, di studentesse e di studenti che vi ha emozionate?

Anna: Mi emoziona profondamente vedere i miei alunni con uno sguardo di felicità quando imparano qualcosa di nuovo. È gratificante osservare che, durante l’orario della ricreazione, alcuni di loro scelgono di rimanere in classe per risolvere un problema insieme. Quest’anno, durante l’open day, sono rimasta colpita positivamente quando alcuni alunni hanno deciso volontariamente di dedicare il loro pomeriggio per parlare della nostra scuola. Erano così orgogliosi di presentare la loro scuola e di mostrare ciò che avevano imparato seguendo i programmi che avevamo affrontato insieme. Una studentessa ha creato un robot con una scheda programmabile, da cui emergeva in maniera casuale una lettera che corrispondeva ad un indirizzo della nostra scuola (L per linguistico, S per scientifico, e così via). Durante la presentazione ai nuovi arrivati, ha coinvolto i ragazzi con il suo entusiasmo e ha utilizzato il gioco per sottolineare le qualità uniche della nostra scuola, concludendo sempre con un invito ad iscriversi al Liceo Scientifico!

Qualche anno fa insegnavo alla seconda primaria, e mi emoziono ancora ripensando ai lavori che abbiamo svolto sulle STEM. Abbiamo partecipato al Piano Nazionale Scuola Digitale, e quei piccoli studenti hanno incredibilmente vinto il secondo premio. Li vedo ancora in quel palco, così piccoli e un po’ spaesati tra gli studenti più grandi. La gioia che ho provato è immensa, soprattutto considerando che alcuni di loro sono ancora miei attuali alunni e continuano a impegnarsi nello studio delle materie STEM. Quando arrivano i risultati, il loro orgoglio diventa il mio, poiché sono felice di averli motivati a mettersi in gioco in modo significativo.

Ci spiegate il progetto “Girls Code It Better” che state realizzando?

Partecipo con entusiasmo al progetto “Girls Code It Better” di Officina Fondazione Futuro W-Group insieme a Giovanna e Maria Luisa [un’altra Fellow di TFI, ndr], con le quali è nata un’amicizia, con l’obiettivo di avvicinare le ragazze alle carriere STEM.

La collaborazione tra di noi è spontanea, condividiamo idee e lavoriamo insieme in un gruppo affiatato. Abbiamo affrontato sfide nella definizione degli obiettivi del progetto, ma alla fine abbiamo centrato un tema fondamentale: il benessere a scuola e l’istruzione di qualità, legati alla sostenibilità. Le ragazze, appartenenti a diverse aree di studio, stanno costruendo un progetto serio e innovativo tramite una bellissima collaborazione.

Giovannamaria: Il progetto ci offre l’opportunità di imparare, crescere e confrontarci con esperti del settore. Abbiamo la libertà di toglierci i panni di insegnanti e diventare membri attivi, lavorando insieme alle ragazze alla pari. Siamo grate per questa esperienza che ci sta arricchendo e ci fa vedere il lavoro scolastico con una prospettiva diversa. Il filo conduttore dei laboratori, incentrato sulla creatività digitale e sull’imprenditorialità, offre alle ragazze la possibilità di sviluppare prodotti e servizi per rispondere a bisogni reali, utilizzando tecnologie avanzate come la stampa 3D, il web design, la programmazione di app e altro ancora.

Cosa succede durante un incontro tipo del progetto “Girls Code It Better”?

Anna: Abbiamo introdotto alcune attività tipiche di Teach For Italy, come il check-in emotivo con immagini divertenti per esprimere lo stato d’animo. Giovanna si occupa di presentare strumenti tecnologici, coinvolgendo le ragazze in attività come la creazione di avatar, progettazione 3D e stampa di oggetti rappresentativi del club. Abbiamo organizzato un contest in cui le ragazze hanno progettato e stampato un oggetto con la tecnologia disponibile, stimolando la loro creatività.

Giovannamaria: La scelta del tema del progetto è lasciata completamente a loro, incoraggiando l’impegno e la risoluzione di problemi. Un’attività che ha particolarmente colpito è stata un gioco di collaborazione in cui, nonostante non si conoscessero ancora, hanno formato gruppi misti di vari indirizzi e hanno lavorato insieme con sorprendente facilità. Abbiamo voluto creare un ambiente informale, evitando di presentarci come insegnanti e facendoci chiamare dalle ragazze con i nostri nomi.

Questo approccio favorisce la collaborazione e la partecipazione attiva delle ragazze, contribuendo a creare uno spirito di laboratorio distintivo. Girls Code It Better è un progetto che cerca di tirar fuori il meglio dalle partecipanti, offrendo un’esperienza che va al di là delle dinamiche tradizionali in aula.

Questo tipo di metodologia di approccio può essere anche qualcosa che è adottabile in classe per arrivare a creare un ambiente di apprendimento che sia inclusivo, accogliente, e che possa eliminare anche le barriere e favorire la diversità nelle STEM?

Anna: Io ritengo che un approccio meno distante tra il docente e gli studenti favorisca una maggiore serenità in classe. Cerco di creare un clima collaborativo, specialmente in matematica, una materia spesso fonte di pregiudizi e difficoltà. Il mio obiettivo è rendere la matematica accessibile, incuriosire gli studenti e farli sentire coinvolti nel processo di apprendimento. Sono convinta che un approccio più orizzontale possa essere molto efficace. Insegno in modo uguale a tutti, senza distinzioni di genere, promuovendo la collaborazione. Quest’anno, sto sperimentando maggiormente il lavoro di gruppo. Ho notato una grande volontà da parte degli studenti di lavorare insieme, forse anche influenzata dai cambiamenti nelle relazioni dovuti al Covid. Il lavoro di gruppo offre loro la libertà di confrontarsi e ascoltarsi reciprocamente, affrontando le sfide in modo più libero ed efficace. L’approccio che adotto, in cui coinvolgo gli studenti in prima persona, li fa riflettere e trovare strategie insieme, si dimostra sicuramente vincente. La collaborazione diventa un elemento chiave per il successo nella classe.

Giovannamaria: Aggiungo che lavorare con problemi aperti, che non hanno un’unica risposta predefinita, offre la possibilità di dare un contributo personale. Ognuno può portare la propria prospettiva e soluzione, rendendo l’approccio davvero inclusivo. Dal mio punto di vista, questa metodologia stimola la partecipazione di tutti e favorisce la diversità di approcci nella risoluzione dei problemi.

Da studente, spesso ti capita di pensare che la matematica sia molto rigida, con una sola risposta giusta. E quindi è interessante anche capire come si possono incontrare questi due punti di vista, e questi metodi in materie scientifiche che magari possono sembrare molto chiuse.

Anna: Credo che noi insegnanti spesso tendiamo a voler presentare solo una modalità di risoluzione, e poi i ragazzi rispondono in base a quello che tu vorresti che loro rispondessero: in realtà i problemi si possono affrontare in tanti modi.

La nostra collega Maria Luisa ha condiviso poco tempo fa un aneddoto di Niels Bohr, fisico danese, premio Nobel per la Fisica nel 1922. Racconta di un professore che voleva penalizzare il suo studente per una risposta data durante un esame, mentre lo studente pretendeva il massimo dei voti per aver dato la risposta esatta. Si rivolsero quindi ad un arbitro imparziale.

Scopri come continua la storia nel video!

Anna: Lo studente infine ammise che conosceva la risposta convenzionale ma che non ne poteva più di una scuola e di professori che tentavano di insegnargli a pensare.

Noto spesso che, soprattutto nelle scuole superiori, tendiamo a limitare la creatività dei ragazzi. Si aspettano di rispondere e ragionare nei termini dell’insegnante, e sto cercando attivamente di cambiare questo approccio. Voglio offrire loro strumenti diversi, stimolando la loro capacità di pensare in modo autonomo. Questo è il mio modo di affrontare l’insegnamento. Tuttavia, riconosco che può essere difficile, poiché gli insegnanti sono guide per gli studenti, ma c’è il rischio di trasmettere insegnamenti che limitano la loro creatività. Sento una forte responsabilità in questo contesto e cerco di incoraggiare l’apertura mentale, specialmente nella risoluzione dei problemi matematici, che può avvenire in modi diversi e con rappresentazioni varie. Non dovremmo limitarci a considerare la matematica solo attraverso la lente di problemi chiusi.

Giovannamaria: Se posso contribuire a quanto detto da Anna, ritengo che talvolta si crei confusione tra la parte tecnica, che riguarda la semplice esecuzione di procedure, e la parte più concettuale. È importante insegnare ai bambini, ad esempio, gli algorimti di base, ma bisogna poi affrontare situazioni problematiche più complesse, che richiedono l’applicazione delle tecniche acquisite in contesti diversi. I problemi stimolano la creatività e la varietà di approcci: alcuni studenti preferiranno spiegare a parole, altri useranno schemi o rappresentazioni grafiche.

È essenziale trovare situazioni problematiche adeguate, in modo che ogni studente possa contribuire secondo le proprie inclinazioni.

Ho notato che è cruciale fornire strumenti ai bambini per esprimere le proprie opinioni e risolvere problemi in modo autonomo.
Ho imparato a non fornire risposte dirette, ma piuttosto a guidarli attraverso domande stimolanti, incoraggiando la riflessione personale e la condivisione di idee tra di loro rendendoli protagonisti. 

Anna: E anche le parole hanno un peso, possono limitare! Pensa che per un periodo ho persino rifiutato di usare la parola “problema”!

Che consiglio avete per le giovani donne, per le vostre studentesse e anche per i vostri studenti che aspirano a intraprendere una carriera nelle scienze?

Anna: Sicuramente uno dei consigli più preziosi che posso offrire è quello di coltivare la passione per ciò che fanno. Avere obiettivi chiari, ma essere flessibili nel percorso che li porta a raggiungerli. L’importanza di non arrendersi di fronte alle difficoltà e di apprendere dai propri errori, poiché il cammino verso il successo può essere tortuoso e pieno di sfide. Consiglio di affrontarle gradualmente, con pazienza, e di mantenere la fiducia che, con impegno e determinazione, sarà possibile raggiungere gli obiettivi prefissati.

Giovannamaria: Durante il passaggio dalle superiori all’università, ho affrontato dubbi e perplessità riguardo alla scelta di iscrivermi alla facoltà di matematica. Avevo frequentato le magistrali e mi ero fermata un anno per lavorare e raccogliere qualche risparmio. La mia famiglia non conosceva il mondo accademico ma mi ha incoraggiata dandomi fiducia, eppure non è stato un percorso semplice. Sentivo spesso dire che era impossibile iscriversi alla facoltà di matematica senza essere particolarmente preparati nelle discipline scientifiche. Ascoltavo consigli e perplessità da parte degli altri, ma ho riflettuto su ciò che volevo davvero. Con determinazione, ho affrontato il mio primo anno di università, mi sono dedicata allo studio con impegno.
non sono mancati momenti di sconforto, ma la tenacia e la forza di volontà hanno fatto la differenza. Lo studio senza fatica non esiste, come insegnava Gramsci.Attraverso questa esperienza, ho imparato a capire meglio me stessa. Quindi, se parliamo di ragazze che desiderano raggiungere i propri obiettivi, è fondamentale lavorare con determinazione per ciò che si vuole ottenere. La volontà, la fatica e la comprensione di sé stessi sono chiavi per il successo.

Grazie mille alle nostre Fellow!

Torna in alto